Mia moglie tornò a casa dopo un’uscita con le amiche e mi trovò a letto seduto, appoggiato alla spalliera come ormai da più di un anno. Ma non
ero sul letto a dormire. Le lacrime mi bagnavano il viso: disperato, stanco, straziato dall’ennesima notte che si sarebbe prospettata insopportabile. La cena era ancora sulla tavola. Non potevo mangiare, sentivo in gola ancora il pranzo. Mesi di analisi del sangue a cercare qualche intolleranza, qualche allergia a cui dare la colpa per quelle sofferenze. Uscire con gli amici era diventato un incubo, le notti insonni, l’autostima sotto i piedi. Quelle fitte intercostali che bruciavano, il cibo che non scendeva, i pasti che finivano il più delle volte in bagno. La gente che parlava di stress, di celiachia, di
nervosismo. Nessun dottore che avesse dato un nome a quel mio stato così imbarazzante: un incubo! Ma quella notte del 20 settembre 2017 mia moglie mi convinse e andammo in ospedale. Non avevamo pensato che l’indomani fosse festa patronale e così, dopo una notte senza risposte in pronto soccorso, l’ attesa di due giorni nel reparto di medicina generale per una semplice gastroscopia di controllo.
Analisi che non potetti fare perché il mio esofago, dopo due giorni di digiuno, era ancora pieno. In ospedale ammisero che era un caso un po’ anomalo e decisero così di tenermi in osservazione. Con una radiografia diversa dalle altre videro che il mio esofago aveva una forma tipo a “imbuto” e che il cibo, nonostante fosse passato qualche giorno dal mio ultimo pasto, si trovava ancora lì. Domande infinite e tanta paura fino a quando, dopo due settimane approfittarono dell’arrivo di alcuni specialisti per farmi la manometria. Due dottoresse mai viste fino a quel momento ma sorridenti conquistarono subito la mia fiducia: mi avvertirono che dovevo sottopormi a una manovra molto fastidiosa, infilando un tubo su per il naso e rimanendo completamente sveglio (la prima manometria credo ce la ricordiamo tutti). La sentenza fu per me incomprensibile: acalasia! Erano passati quasi 20 giorni dal mio ricovero e per 20 giorni, nel dubbio, ero stato alimentato con le flebo perdendo oltre 15 kg. Non so se sto raccontando una storia di malasanità, oppure le malattie rare sono così difficilmente diagnosticabili. Fatto sta che tra il mio arrivo in ospedale e la decisione di procedere con la dilatazione pneumatica passarono 3 settimane. Poi, in accordo con la mia famiglia, da Salerno partii per Milano. Altri 10 giorni di ricovero perché la prima dilatazione di 25mm non bastava. Provarono a dilatare ulteriormente il mio cardias fino a 30mm con un palloncino (e lo racconto così, come se fosse una cosa normale!). Dopo 32 giorni di completo digiuno e alimentato solo da flebo, finalmente un sorso d’ acqua. Mentre scrivo lo sento ancora
scendere giù lungo tutto il mio esofago fino a sentirla arrivare nello stomaco tipo cascata. Non dimenticherò mai quel momento….mai!
Questa è la mia storia: 4 anni fa pesavo circa 10 chili in meno rispetto ad oggi e soffrivo ma nessuno mi capiva. Oggi, peso a parte (da 75 kg prima del ricovero, a 65 durante il digiuno forzato, ora ho raggiunto i 90 kg!), ho la fortuna di potermi godere la vita, mangiare!!! Anche se qualche volta “non scende” : a volte mangio in piedi, altre volte un sorso d’acqua in più per aiutare la discesa….ma va bene così!
Lo racconto per dare speranza a tutti e mi emoziono. Lo racconto con mio figlio di 3 anni tra le braccia che ha un papà acalasico, mentre lui mangia che è una meraviglia, grazie a Dio!
Nicola Frezza