Nelle sezioni precedenti abbiamo visto che le terapie chirurgiche o endoscopiche dell’acalasia sono molto efficaci, ma anche che una parte dei pazienti trattati rimarrà o potrà diventare nuovamente sintomatica dopo l’intervento iniziale. Se il paziente non migliora dopo il trattamento in modo significativo (persistenza dei sintomi) è molto probabile che il trattamento iniziale non sia stato efficace (miotomia o dilatazione insufficienti), ma avviene più spesso che all’iniziale miglioramento, i cui benefici sintomatologici vengono percepiti rapidamente, faccia seguito una ricomparsa più o meno tardiva della sintomatologia. Al momento attuale non vi è una definizione universalmente accettata di recidiva sintomatologica, e si dibatte su quali siano e quanto debbano essere gravi i sintomi per parlare di recidiva. Disfagia, rigurgito e dolore toracico rimangono i sintomi principali, ma la loro severità e combinazione può variare considerevolmente da paziente a paziente. Tali sintomi possono avere diverse cause (mancanza di rilasciamento dello Sfintere Esofageo Inferiore, grave dilatazione dell’esofago aperistaltico con aspetto “a sifone”, presenza di tessuto cicatriziale intorno al cardias, comparsa di reflusso gastro-esofageo con o senza esofagite, o in circostanze più rare la comparsa di una neoplasia). In caso di ricomparsa dei sintomi le Linee Guida per il trattamento dell’acalasia sono concordi nel raccomandare di ripetere l’intero iter diagnostico, che deve comprendere: esofagogastroscopia, radiografia dell’esofago con mezzo di contrasto, (possibilmente misurando il tempo di transito ed il diametro del lume esofageo con il cosiddetto “timed barium swallow”), una manometria esofagea ad alta definizione, ed una pH-impedenziometria, nel caso si sospetti un reflusso gastroesofageo o che gli altri esami effettuati non siano conclusivi.
Le attuali Linee Guida sull’Acalasia non si esprimono sulla necessità o su come effettuare il Follow-up nei pazienti che rimangano asintomatici dopo l’intervento. Lo scopo di ogni trattamento dell’acalasia è volto al controllo dei sintomi e vanno raccomandate solo regolari visite specialistiche di controllo presso il centro di riferimento di propria fiducia, durante le quali vengano attentamente raccolti i sintomi, possibilmente usando questionari standardizzati.
E’ anche accettato come buona pratica clinica che, nel primo anno dopo l’intervento – durante questo periodo si verificano circa il 50% delle recidive- vengano effettuati un controllo radiologico del transito esofageo ed una endoscopia, per accertare obbiettivamente l’esito dell’intervento ed escludere lesioni alla mucosa esofagea (esofagite da reflusso, micosi). Altri esami, quali manometria ad alta risoluzione e pH-impedenziometria 24 ore andranno fatti all’interno di protocolli scientifici e di ricerca dei singoli centri o se insorgono sintomi specifici.
Un accenno a parte va fatto a proposito della necessità o meno di eseguire un follow-up endoscopico per il rischio di tumore dell’esofago nei pazienti acalasici trattati ed asintomatici. La acalasia è considerata un fattore di rischio per il tumore dell’esofago: la assenza di peristalsi e la stasi di residui alimentari e saliva nel lume esofageo possono favorire la crescita batterica e provocare irritazioni chimiche iniziando un processo che porta alla comparsa di alterazioni cellulari (displasia) che può progredire verso la formazione di tumori. Un meccanismo alternativo, ma più raro, è la presenza di un grave reflusso con conseguente comparsa di un esofago di Barrett ed evoluzione in adenocarcinoma (v. sezione Esofago di Barrett). Il rischio di comparsa di una neoplasia esofagea in pazienti acalasici è comunque molto basso, anche se più alto che nella popolazione generale; tale rischio è maggiore nel sesso maschile e dopo 10 o più anni dalla diagnosi di acalasia.
Le Linee Guida concordemente raccomandano di informare i pazienti di tale rischio, ma non consigliano di eseguire uno screening endoscopico sistematico per la prevenzione delle neoplasie esofagee nei pazienti acalasici asintomatici. Può essere comunque considerata una buona pratica clinica quella di eseguire una endoscopia ogni 5-6 anni.
Dott. Paolo Parise
Unità Operativa Chirurgia Generale
Ospedale “Alto Vicentino” – Santorso (VI)
AULSS 7 Pedemontana